Sedicesimo Scudetto: E' Stupendo Essere Interisti.
Capitolo Uno: il sorriso di Balotelli.
Marietto, come lo chiamo io, TurboMario per i giornalisti, è un ragazzone di diciassette anni italianissimo e nero. Di per sè questo fatto non conta nulla, non ha una grossa rilevanza sportiva, ma mi fa godere. Da interista non soffro quando ci accusano di non avere italiani in squadra, ma piazzare lì a difesa del Tricolore un nigga dalla faccia simpatica mi mette allegria. Marietto, dunque, è un teenager che non può ancora prendere la patente ma sa intrufolarsi tra difensori e portiere e piazzare il colpo letale. Marietto è diventato il mio idolo quella sera di Coppa Italia (noi siamo in finale, i cugini NO) in cui piazzò una doppietta alla juve. Marietto, oltre che essere una promessa come calciatore, è un ragazzo che sa ancora ridere. Badate bene, anche Martins rideva, e molto. Ma solo lui capiva perchè (la sua ignoranza tattica faceva piangere). Anche Adriano rideva, e molto, ma solo dopo abbiamo capito il perchè (beveva come un alpino). Marietto è diverso. Marietto gioca, corre, sbuffa, soffre, s'incazza, litiga con bastardi mercenari d'ogni tipo che lo provocano e lo picchiano: poi però i conti volgono sempre in suo favore. Lui reagisce con il sorriso sincero di chi ancora non capisce tutto (beato lui!). Franco Rossi, uno che non capisce nulla di calcio ma capisce tutto di vita, dice che Marietto gli ricorda Romario. Secondo me Franco Rossi ogni tanto beve, ma la freddezza sottoporta o ce l'hai o non ce l'hai. Se Marietto continuerà a ridere, Franco Rossi ci avrà azzeccato ancora una volta.
Marietto, come lo chiamo io, TurboMario per i giornalisti, è un ragazzone di diciassette anni italianissimo e nero. Di per sè questo fatto non conta nulla, non ha una grossa rilevanza sportiva, ma mi fa godere. Da interista non soffro quando ci accusano di non avere italiani in squadra, ma piazzare lì a difesa del Tricolore un nigga dalla faccia simpatica mi mette allegria. Marietto, dunque, è un teenager che non può ancora prendere la patente ma sa intrufolarsi tra difensori e portiere e piazzare il colpo letale. Marietto è diventato il mio idolo quella sera di Coppa Italia (noi siamo in finale, i cugini NO) in cui piazzò una doppietta alla juve. Marietto, oltre che essere una promessa come calciatore, è un ragazzo che sa ancora ridere. Badate bene, anche Martins rideva, e molto. Ma solo lui capiva perchè (la sua ignoranza tattica faceva piangere). Anche Adriano rideva, e molto, ma solo dopo abbiamo capito il perchè (beveva come un alpino). Marietto è diverso. Marietto gioca, corre, sbuffa, soffre, s'incazza, litiga con bastardi mercenari d'ogni tipo che lo provocano e lo picchiano: poi però i conti volgono sempre in suo favore. Lui reagisce con il sorriso sincero di chi ancora non capisce tutto (beato lui!). Franco Rossi, uno che non capisce nulla di calcio ma capisce tutto di vita, dice che Marietto gli ricorda Romario. Secondo me Franco Rossi ogni tanto beve, ma la freddezza sottoporta o ce l'hai o non ce l'hai. Se Marietto continuerà a ridere, Franco Rossi ci avrà azzeccato ancora una volta.
Capitolo Due: lo strano rapporto del Bagnino con il giuoco del calcio.
Ho la sfortuna -o il privilegio?- di conoscere il Bagnino Pizzettato dall'età di cinque anni. All'epoca, il bambino era già uomo, dunque aveva preoccupazioni diverse dal resto della combriccola di via Scrosati. Noi pensavamo al calcio, al calcio, e poi ancora al calcio. Quando arrivava la primavera ci fidanzavamo con le nostre compagne di classe, ma poi il calcio prendeva il sopravvento su tutto. Il Bagnino invece, già uomo e quindi avanti di una quindicina d'anni rispetto a tutti, pensava alle femminucce, alle femminucce, e poi ancora alle femminucce. A primavera, quando in noi maschietti scattava l'ormone, lui... pensava ancora alle femminucce. I suoi piedazzi piatti non gli permettevano di avere un grande appeal con il magico giuoco del calcio, perciò le femminucce erano il suo campo d'interesse unico e specifico. Questo, capirete bene, denota profonda saggezza: ma come sempre è successo nella Storia, chi precede i suoi contemporanei non viene totalmente capito. Chiedete a Giordano Bruno (non l'attaccante del Napoli della Ma-Gi-Ca) o ai suoi seguaci. Il Bagninazzo, non capendo un emerito cazzo di calcio, e non sapendo camminare dritto per via dei suoi piedacci piatti, veniva visto da tutti noi come un tipo un po' freak. La freakitudine poi, è una dote che non si perde. Non sto a specificare quali siano le sue passioni oggi (femminazze?): ma di certo, se l'avete visto avventurarsi in un dribbling o in due palleggi non ve lo potete dimenticare. E dunque, mentre alle tre di pomeriggio la tensione era alle stelle, il Bagninazzo ignaro degli ultimi sei mesi di campionato mi chiedeva, ingenuamente: ma quello lì in panca è Ibrahimovic? Ma Pezzo, ma cosa ci fa in panca? Ma non gioca? A quel punto, già nervoso e scazzatissimo, e consapevole di non poter spiegare in trenta secondi la storia medica del ginocchio di Ibrahimovic, ho provato a rispondere alle sue domande euforiche. No Pezzo, non gioca. Sì, sta bene, si è allenato, ma non può giocare. No, non fare affidamento su di lui, è legnoso. Cazzo Pezzo porca troia, è stato fermo un po', figa, s'è andato a curare via dall'Italia, sarà legnoso. Ma si è allenato?, ancora speranzoso il Bagnino. Sì, malinconicamente chiudo io. Si è allenato, penso tra me e me, ma oggi non ci servirà a un cazzo.
Parma - Inter 0-2 (Ibrahimovic, Ibrahimovic)
Capitolo Tre: il mio pseudolavoro mi manda in pappa il cervello.
Tra le varie immagini della festa scudetto dell'anno scorso, ne porto una nel cuore un po' più stretta delle altre. Sono io sotto il mio portone che chiamo il Bagninazzo a Key West. Messo giù il telefono, festeggiato lo scudo e tornato a casa, il mio pensiero era subito andato all'anno seguente. Perchè l'anno prossimo, mi ripetevo continuamente, vinceremo lo scudo e ci sarà anche il Bagnino a festeggiare con me. E saremo insieme in Duomo.
Già, piazza del Duomo, la seconda immagine del Quindicesimo Scudetto. Un tripudio di bandiere, di gente festante, di birre strapagate e di gente con cui affratellarsi, improvvisare cori, balletti, riti esoterici, partite a shangai, petizioni contro i cetriolini nei Big Mac. Una piazza come l'avevo sempre sognata. Una piazza di fratelli. Una piazza piena di quei colori che sono da sempre nella mia vita. Un qualcosa di indescrivibile. Tornato a casa a tarda notte, dopo aver salutato i ragazzi all'Arengario, avevo subito pensato: l'anno prossimo torneremo in Duomo. Vinceremo lo scudetto e torneremo a colorare la piazza. E sarà stupendo.
La lunghezza di un campionato non si può misurare in mesi, in settimane o in giornate. Certo, inizia alla fine di agosto e finisce a metà maggio. Certo, sono trentotto giornate. Ma se la prima ora di partita col Parma, da sola, è durata dieci anni di vita, immaginatevi voi il resto. Quello che mi ha mandato veramente in pappa il cervello, comunque, non è stata la sofferenza sportiva nè la campagna mediatica di odio che ci ha visti vittime. A farmi scoppiare la testa sono state le mattine al cinema, attraversando quella dannata piazza del Duomo completamente deserta, facendomi tornare alla mente le immagini dell'aprile 2007. Ogni film all'Apollo era un ricordo, ogni proiezione all'Odeon una spinta a crederci, a sostenere i ragazzi; perchè prima o poi, in qualche modo, ci avrebbero fatti tornare lì. Lì dove la mattina i piccioni la facevano da padrone. Lì dove i turisti fanno le loro belle foto e i tamarri fanno le vasche. Io ho attraversato per tutto l'anno quella piazza, guardando la facciata del Duomo e pensando: a fine campionato noi saremo di nuovo qui. Sarà di nuovo tutto nostro, e sarà stupendo. Torneremo noi qui a festeggiare. Noi, noi e nessun altro. E sarà stupendo.
Non so quanti film ho visto, non so quante volte ho pensato allo scudetto da celebrare. Ma so che ieri pomeriggio, sotto la pioggia battente, quelle mattinate di pensieri e sogni sono diventate realtà. Come diceva il Gran Coniglio, l'attimo della realizzazione vale più di mille preghiere.
Epilogo.
Ho passato anni interi a chiedermi il perchè delle sfortune calcistiche dell'Inter. Ho giocato qua in cortile pomeriggi, settimane, mesi, anni interi imitando i miei idoli interisti: gente con due palle così come Lothar, o personaggi insulsi come Dennis. Ho stretto la mano ad Antonio Paganin che mi sorrise, e sono stato preso in braccio da Lorieri che mi preparò un panino ad Appiano. Ho pianto per il rigore sbagliato da Fontolan contro l'Aston Villa, e strappato la foto di Ronaldo e Vieri quando l'infame andò a Madrid. Mi sono sempre chiesto perchè gobbi e bastardirossoneri vincessero e noi stessimo lì a guardare, a soffrire, a comprare gente sbagliata senza alzare mai la testa. Ho visto un presidente rendersi ridicolo comprando centinaia di giocatori e cacciando allenatori che avevano in mano lo spogliatoio. Ho visto attuarsi l'acquisto del più forte giocatore del mondo, e dovuto accettare che altri più potenti di noi potessero annullare ogni nostro sforzo con metodi illeciti. Ho sofferto per vent'anni. Sofferenza. Lunga. Duratura. Pura.
Poi abbiamo scoperto un pezzettino di verità. E da lì ho cominciato a godere. Ho cominciato a credere che se t'impegni, alla fine ottieni il risultato che meriti. Ho ricominciato ad amare il calcio perchè ognuno aveva, finalmente, ciò che si meritava. Rubi? Vai in serie B. Sai giocare sette partite all'anno? Vinci la Champions ma in campionato arrivi dietro di trenta punti -l'anno scorso- e venti -quest'anno.
E ho visto tutti gli altri affannarsi, in quel modo goffo e ridicolo che è proprio di chi non ha scuse ma cerca comunque ogni appiglio per nascondere annate fallimentari o figure di legno epocali. Oggi, lo urlo con tutta la forza che ho, è un gran giorno per essere interisti. Immagino sia uno schifo per tutti gli altri, ma sinceramente non me ne curo troppo. Saranno loro a preoccuparsi di noi. Io sono troppo in alto per sentire le loro inutili sperequazioni da perdenti. Noi siamo campioni d'Italia. Loro no.
Ed è bellissimo.
Ho la sfortuna -o il privilegio?- di conoscere il Bagnino Pizzettato dall'età di cinque anni. All'epoca, il bambino era già uomo, dunque aveva preoccupazioni diverse dal resto della combriccola di via Scrosati. Noi pensavamo al calcio, al calcio, e poi ancora al calcio. Quando arrivava la primavera ci fidanzavamo con le nostre compagne di classe, ma poi il calcio prendeva il sopravvento su tutto. Il Bagnino invece, già uomo e quindi avanti di una quindicina d'anni rispetto a tutti, pensava alle femminucce, alle femminucce, e poi ancora alle femminucce. A primavera, quando in noi maschietti scattava l'ormone, lui... pensava ancora alle femminucce. I suoi piedazzi piatti non gli permettevano di avere un grande appeal con il magico giuoco del calcio, perciò le femminucce erano il suo campo d'interesse unico e specifico. Questo, capirete bene, denota profonda saggezza: ma come sempre è successo nella Storia, chi precede i suoi contemporanei non viene totalmente capito. Chiedete a Giordano Bruno (non l'attaccante del Napoli della Ma-Gi-Ca) o ai suoi seguaci. Il Bagninazzo, non capendo un emerito cazzo di calcio, e non sapendo camminare dritto per via dei suoi piedacci piatti, veniva visto da tutti noi come un tipo un po' freak. La freakitudine poi, è una dote che non si perde. Non sto a specificare quali siano le sue passioni oggi (femminazze?): ma di certo, se l'avete visto avventurarsi in un dribbling o in due palleggi non ve lo potete dimenticare. E dunque, mentre alle tre di pomeriggio la tensione era alle stelle, il Bagninazzo ignaro degli ultimi sei mesi di campionato mi chiedeva, ingenuamente: ma quello lì in panca è Ibrahimovic? Ma Pezzo, ma cosa ci fa in panca? Ma non gioca? A quel punto, già nervoso e scazzatissimo, e consapevole di non poter spiegare in trenta secondi la storia medica del ginocchio di Ibrahimovic, ho provato a rispondere alle sue domande euforiche. No Pezzo, non gioca. Sì, sta bene, si è allenato, ma non può giocare. No, non fare affidamento su di lui, è legnoso. Cazzo Pezzo porca troia, è stato fermo un po', figa, s'è andato a curare via dall'Italia, sarà legnoso. Ma si è allenato?, ancora speranzoso il Bagnino. Sì, malinconicamente chiudo io. Si è allenato, penso tra me e me, ma oggi non ci servirà a un cazzo.
Parma - Inter 0-2 (Ibrahimovic, Ibrahimovic)
Capitolo Tre: il mio pseudolavoro mi manda in pappa il cervello.
Tra le varie immagini della festa scudetto dell'anno scorso, ne porto una nel cuore un po' più stretta delle altre. Sono io sotto il mio portone che chiamo il Bagninazzo a Key West. Messo giù il telefono, festeggiato lo scudo e tornato a casa, il mio pensiero era subito andato all'anno seguente. Perchè l'anno prossimo, mi ripetevo continuamente, vinceremo lo scudo e ci sarà anche il Bagnino a festeggiare con me. E saremo insieme in Duomo.
Già, piazza del Duomo, la seconda immagine del Quindicesimo Scudetto. Un tripudio di bandiere, di gente festante, di birre strapagate e di gente con cui affratellarsi, improvvisare cori, balletti, riti esoterici, partite a shangai, petizioni contro i cetriolini nei Big Mac. Una piazza come l'avevo sempre sognata. Una piazza di fratelli. Una piazza piena di quei colori che sono da sempre nella mia vita. Un qualcosa di indescrivibile. Tornato a casa a tarda notte, dopo aver salutato i ragazzi all'Arengario, avevo subito pensato: l'anno prossimo torneremo in Duomo. Vinceremo lo scudetto e torneremo a colorare la piazza. E sarà stupendo.
La lunghezza di un campionato non si può misurare in mesi, in settimane o in giornate. Certo, inizia alla fine di agosto e finisce a metà maggio. Certo, sono trentotto giornate. Ma se la prima ora di partita col Parma, da sola, è durata dieci anni di vita, immaginatevi voi il resto. Quello che mi ha mandato veramente in pappa il cervello, comunque, non è stata la sofferenza sportiva nè la campagna mediatica di odio che ci ha visti vittime. A farmi scoppiare la testa sono state le mattine al cinema, attraversando quella dannata piazza del Duomo completamente deserta, facendomi tornare alla mente le immagini dell'aprile 2007. Ogni film all'Apollo era un ricordo, ogni proiezione all'Odeon una spinta a crederci, a sostenere i ragazzi; perchè prima o poi, in qualche modo, ci avrebbero fatti tornare lì. Lì dove la mattina i piccioni la facevano da padrone. Lì dove i turisti fanno le loro belle foto e i tamarri fanno le vasche. Io ho attraversato per tutto l'anno quella piazza, guardando la facciata del Duomo e pensando: a fine campionato noi saremo di nuovo qui. Sarà di nuovo tutto nostro, e sarà stupendo. Torneremo noi qui a festeggiare. Noi, noi e nessun altro. E sarà stupendo.
Non so quanti film ho visto, non so quante volte ho pensato allo scudetto da celebrare. Ma so che ieri pomeriggio, sotto la pioggia battente, quelle mattinate di pensieri e sogni sono diventate realtà. Come diceva il Gran Coniglio, l'attimo della realizzazione vale più di mille preghiere.
Epilogo.
Ho passato anni interi a chiedermi il perchè delle sfortune calcistiche dell'Inter. Ho giocato qua in cortile pomeriggi, settimane, mesi, anni interi imitando i miei idoli interisti: gente con due palle così come Lothar, o personaggi insulsi come Dennis. Ho stretto la mano ad Antonio Paganin che mi sorrise, e sono stato preso in braccio da Lorieri che mi preparò un panino ad Appiano. Ho pianto per il rigore sbagliato da Fontolan contro l'Aston Villa, e strappato la foto di Ronaldo e Vieri quando l'infame andò a Madrid. Mi sono sempre chiesto perchè gobbi e bastardirossoneri vincessero e noi stessimo lì a guardare, a soffrire, a comprare gente sbagliata senza alzare mai la testa. Ho visto un presidente rendersi ridicolo comprando centinaia di giocatori e cacciando allenatori che avevano in mano lo spogliatoio. Ho visto attuarsi l'acquisto del più forte giocatore del mondo, e dovuto accettare che altri più potenti di noi potessero annullare ogni nostro sforzo con metodi illeciti. Ho sofferto per vent'anni. Sofferenza. Lunga. Duratura. Pura.
Poi abbiamo scoperto un pezzettino di verità. E da lì ho cominciato a godere. Ho cominciato a credere che se t'impegni, alla fine ottieni il risultato che meriti. Ho ricominciato ad amare il calcio perchè ognuno aveva, finalmente, ciò che si meritava. Rubi? Vai in serie B. Sai giocare sette partite all'anno? Vinci la Champions ma in campionato arrivi dietro di trenta punti -l'anno scorso- e venti -quest'anno.
E ho visto tutti gli altri affannarsi, in quel modo goffo e ridicolo che è proprio di chi non ha scuse ma cerca comunque ogni appiglio per nascondere annate fallimentari o figure di legno epocali. Oggi, lo urlo con tutta la forza che ho, è un gran giorno per essere interisti. Immagino sia uno schifo per tutti gli altri, ma sinceramente non me ne curo troppo. Saranno loro a preoccuparsi di noi. Io sono troppo in alto per sentire le loro inutili sperequazioni da perdenti. Noi siamo campioni d'Italia. Loro no.
Ed è bellissimo.
3 Comments:
At 20 maggio, 2008 00:55, krepa said…
...già è bellissimo...
At 20 maggio, 2008 08:22, Anonimo said…
Oggi, lo urlo con tutta la forza che ho, è un gran giorno per essere interisti....già è proprio un bel giorno per essere interisti...perfetto!
At 20 maggio, 2008 11:09, Mary said…
...I feel good ed anche un po' god!!!
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