BREATHING UNDERWATER

ultimo giro di bevute. il bar sta chiudendo, il sole se ne va. dove andiamo per colazione? non troppo lontano. sono stanco amore. sono stanco.

domenica, luglio 28, 2019

Anche i Caciocavalli Hanno Fretta

Il pacchetto di Fonzies è un regalo inaspettato, lo ammetto. Per il momento, per il pensiero, per l'orario, per il turbolento finale di nottata. Ma lo accetto ben volentieri e rifletto su quanto sia facile a volte stabilire un contatto, un legame, anche e soprattutto quando l'alba non sta rischiarando l'orizzonte, che si è fatto cupo all'improvviso.

La nottata, prima di esser tale, era nata aperitivo, caldo e zanzaroso, per poi sfociare con disarmante ma prevedibile naturalezza in serata; un paio di birrette poi corriamo dal vecchio e caro Frigo, compare di mille sventure, lasciato consulente nullafacente, ritrovato imprenditore di successo o presunto tale. Al Vinyl riusciamo a pagare il primo giro (pardon, riesce), il resto è un turbine di cocktail a carico del proprietario, da sempre buono come un gin tonic ma irremovibile riguardo le questioni fondamentali dell'esistenza (offrirmi da bere, per l'appunto). 

Troviamo un bel posticino tranquillo in mezzo all'insensata baldoria, la birra nel frattempo si è trasformata in mirto e le chiacchiere sono diventate grasse risate. Frigo è sempre stato un intrattenitore sui generis, non certo un provocatore alla Man on the Moon ma un catalizzatore di eventi fortuiti, a volte evitabili a volte imprevedibili; il finale a locale chiuso mi porta alla mente ricordi antichi e preziosi, Papillon in sottofondo mi fa venire voglia di cantare, sono carico, sono allegro, sono felice, lo ripeto in continuazione e il mio Diamante fa brillare il suo sorriso, annuendo. Ce ne andiamo perchè la notte, saggia e paziente, ci sta aspettando. Da ore, giorni, forse settimane. Aspetta me. Aspetta noi.

Non abbiamo fretta di arrivare all'appuntamento, nè noi nè il nostro sconsiderato tassista, che non conosce le strade di Milano ma compensa con una sfavillante simpatia; la fretta non porta niente di buono, la fretta dà un'immagine non veritera, la fretta mi ha sempre mandato in paranoia, la fretta ce l'ha il caciocavallo che vuole finire a tutti i costi dentro il suo panino con la salamella, la fretta non mi appartiene ed è per questo che ho sempre cercato di non mettere pressione in quel senso. L'ho apprezzato, devo ammetterlo; sono parole dolci, delicate, che mi lasceranno insonne. Ha notato, ha capito, ha apprezzato.

E allora mi presento, in questa notte che avevamo a lungo aspettato; non voglio più autodistruggermi. Il resto sono oltre due ore di chiarimenti, ammiccamenti, dichiarazioni d'intenti, sentimenti. Ma è passato un secondo ed è già ora di scappare.

Sembri Topolino, con il naso tutto nero.

La dolcezza, devo dirlo, proprio le appartiene.

lunedì, luglio 22, 2019

Leggiadria

Bisogna sapersi muovere con una certa leggiadria, penso mentre rientro a casa dopo una domenica bestiale, torrida e sbattimentosa come forse neanche ai bei tempi che furono.
Bisogna muoversi leggiadri lungo questo vialone soleggiatissimo, le cinque del pomeriggio non sono il momento migliore per uscire ma mi sono appisolato sul divano del Bagnino accoccolato al Perkovic: i microsonni durano al massimo un quarto d'ora!, di più non è consentito. Ma un quarto d'ora basta e avanza perchè sono cotto (l'ho già detto?) e rispondo ad ogni domanda dell'albanozzo in meno di un secondo. Parlo sempre e solo quando ho le spalle al muro, pardon, al divano. Mi appisolo nuovamente e quando mi sveglio il peggior ballerino d'Albania è sparito un'altra volta. Etereo. Leggiadro. Come Pantani sul Mont Ventoux.
Bisogna sapere entrare in punta di piedi nella vita degli altri, nelle altrui speranze e paure, in quest'ultimo piano soleggiato e pieno di storie; non sai usare il condizionatore ma va bene lo stesso, bisogna rispettare tempi e modi, se mi offri un pomodorino me ne gusterò un paio, se ti sembro un'anima in pena ti sbagli; voglio solo assimilare queste sensazioni uniche ed irripetibili, c'è un vinile di John Coltrane che mi fissa dalla sala ma sono avido di vedute e panorami e campi di calcio e palazzi a non finire, e io mi perdo e mi riperdo e continuo a perdermi...
Non sempre mi appartiene, bisogna ammetterlo, questa anomala sensazione; ma gli amici l'hanno notata e non si scappa mai da chi ci ama veramente. La dolce Sylvie, il Varanone che filma l'eterno Bagnino tutto indaffarato... è tempo di andare, giusto?
Bisogna sapersi muovere con una certa leggiadria per intravedere e comprendere il sorriso del colibrì, che vola all'indietro per affermare la propria natura, il proprio io profondo, la propria fenomenale singolarità. Non abbiamo mai fatto il percorso al contrario, sussurra vispa a un certo punto; è vero, ma io sbuffo e mi illumino e ridacchio e cerco di dare un senso a questo percorso, a questo contrario. Io che al contrario ho scoperto il mondo, i miei talenti e i demoni, io che al contrario penso e sento. Io che per un contrario polemizzo con l'universo, che al contrario gioco a Tetris e so legarmi agli altri. Allora bisogna aggiungere una nota di colore, fucsia ovviamente, per decretare un nuovo contrario da esplorare con passione leggiadra.
Non abbiamo mai fatto il percorso al contrario... è vero.
Non l'abbiamo mai fatto insieme.

sabato, luglio 20, 2019

Mi Trasformo in Unicorno

Ci mettiamo d'impegno e fatichiamo per ricordare a tutti i costi -sanciva la Sylvie una vita fa al Dundas, dall'alto della sua mastodontica esperienza- quando in realtà l'impresa più ardua è quella di dimenticare.

Moomin era arrivato in mio soccorso qualche settimana fa con Woman to woman; il cellulare ogni tanto mi trema nella mano ma questo è il momento di scoprire e riscoprire, e allora giovedì mattina ecco Loop n. 1 e Doobiest e 123 e il treno arriva a Villa Fiorita quasi di soppiatto. Sono di nuovo qui, l'insegna del Claro in lontananza mi fa sorridere e ormai ho soltanto cinque minuti per gli ultimi viaggi mentali. Ripercorro velocemente le mille serate in una di stanotte, a ritroso poi a montaggio spezzato tipo The Burning Plain, questa volta il finale non è tragico (se non per l'orario, quello sì) ma d
olce come una aristoteliana parola sociale. Che serata.

Ripenso all'insegnamento della Sylvie mentre ascolto questa canzone dei Queen che forse non avevo mai sentito, mentre sono in ostaggio, mentre parlo e soprattutto ascolto storie di diamanti, promesse infrante e caciocavalli; Calcutta non mi fa impazzire ma questo pezzo lo mando in repeat sempre volentieri, mi hai chiesto quando rivediamo la Gaggia e so che apprezzerà il pensiero, la bottiglietta d'acqua sul tavolo scatena le tue minacce, se mi mandi un audio sul meteo devo per forza risponderti, i marocchini fanno fatica a litigare con i sudamericani, non amo che le rose che non colsi, il Cristo Giallo è il mio quadro preferito e il flusso di coscienza può finire qui perchè il senso l'abbiamo capito.

E la testa di unicorno? Acquisto del secolo, secondo soltanto alla prima macchina del fumo del Bagnino, year 2006 mi verrebbe da dire, motore assemblato a Chernobyl e vietato areare il locale prima di soggiornarvi, altrimenti che gusto c'è. Sfodero la maschera dopo essermi caricato con qualche spritz di riscaldamento; mi sono lasciato trascinare sul palchetto perchè c'è sempre qualcuno che deve aprire le danze e non è una scelta ma un destino, una missione da che ho memoria, più o meno da quando ho incrociato lo sguardo del Bagnino nel 1987 e percepito che questo è il modo che mi dà più gusto quindi è quello giusto.

Apriamo le danze quindi, poi mi trasformo in unicorno, da quel momento in poi è il solito vortice di balli, sguardi, risate alcoliche e un morso sulla guancia. La serata non finisce mai e diventa epica, l'ultimo giro di cocktail lo offro di sentimento e in pochi possono dire di avermi visto seduto sul bordo di un marciapiede; quando accade significa che sono veramente tranquillo, condizione che raggiungo di rado e mantengo per un tempo infinitesimale. Ma così è stato. La Sylvie ha sempre avuto ragione.

Non c'è altro modo che produrre nuovi ricordi.

E io sono ancora seduto su quel bordo.


sabato, luglio 13, 2019

Luna Rossa.

Il caldo smette di squagliarmi appena esco dall'ufficio; mi metto ad aspettare vicino alle panchine, l'Audi targata Fucker se ne va con magistrale tempismo, fingo di non guardare, l'importante in fondo è che nessuno vada a controllare le timbrature ma non pensiamoci adesso che dobbiamo goderci la serata.
Un istante dopo sorrido.
Cerco di concentrarmi sulle questioni del momento, troveremo un bancomat?, troveremo parcheggio?, troveremo la strada?, troveremo una stazione radio che trasmetta della fottuta buona musica del cazzo?, perchè quei due cornuti si mettono lì con le portiere aperte e ci obbligano ad andare contromano? Sorrido ancora...
Proseguiamo per via Pietro Nenni e non aver contanti si sta rivelando meno problematico del previsto; una decina di arrosticini per antipasto poi proseguiamo con le bombette, le birrette e le fossette di quel sorriso che no, non riesco a smettere di fissare. Distogli lo sguardo Joe, che ti si legge attraverso...
Ma cosa voglio distogliere, qua bisogna armarsi e partire alla volta di Venezia che la lacuna della laguna è imperdonabile ma del tutto risolvibile; esistono luoghi personali e profondi, luoghi dell'anima, luoghi che mi fanno pensare alla Mickey Smith, this is where my heart beats harder. Ti ci devo portare, è deciso. Il dolce e l'amaro sono la luna rossa e il kebabbaro, l'una col suo incedere discreto ma deciso, l'altro con la sua saracinesca che si abbatte morbidamente su un disgraziato che non si regge in piedi ma prova per oltre mezz'ora a protestare, anche se l'impressione è che non sia accaduto davvero nulla.
E allora sorrido un altro po'. Splendono gli astri, metallici e bianchi. Mi sto per addormentare. Vedrò il tuo messaggio tra quattro ore.

Un nuovo giorno è iniziato.