La Fatica Delle Parole.
Il campanile della chiesa di Vidigulfo è sempre stato un punto di riferimento importante, geograficamente parlando e non solo; sono passati tanti anni e la sua imponenza è cresciuta a dismisura. Nel 2004 il tempo sembrava essersi fermato; la vita di paese con tutti i suoi rituali mi aveva per la prima volta affascinato in una gelida mattina di febbraio, la gamba ingessata e Battisti alla radio con "Ancora tu". Poi passò del tempo. E del tempo ancora. Fino all'ultima mia apparizione, datata qualche giorno fa.
Mi guardo intorno, e di quel vecchio cortile poco è rimasto. Ci sono ancora i panni stesi in comune, c'è ancora la possibilità di arrivare ovunque a piedi nel giro di pochi metri. Ci sono le persone che chiacchierano in bicicletta e la sensazione che tutto sia lento, lentissimo, quasi immobile. C'è un silenzio clamoroso, che ha sempre stimolato indicibili pennichelle (ma la notte quel silenzio non ha mai aiutato).
Parto dal campanile e con la mente viaggio in lungo e in largo scavando nella memoria: le vacanze di Natale di mille anni fa, con mio cugino per i fossi a pescare le rane, sparare i miniciccioli, giocare alle Olimpiadi su un pc dell'IBM dell'anteguerra: che felicità... ma dov'è finito tutto quanto? I pomeriggi a bighellonare, gli amici di mio cugino che parlano in dialetto e io non capisco, le assurde regole che dominano la comunità, i ritmi completamente sballati, la gioia di sentirsi legato agli altri pur essendo diverso.
Un attimo dopo sono allo Shu, nell'angolino vicino al nostro divanetto, mi sono appena scolato un vodkallapescalemon ed è tornata la voglia di ballare; mi avvicino alla MorosonaDolce, mi faccio stretto stretto, la guardo e vorrei dirle un miliardo di parole ma non ne esce nemmeno una. Mi abbraccia mi stringe mi accarezza, mi chiede che c'è ma niente, faccio troppa fatica. Ci metto un po' a smaltire i miei pensieri, mi faccio un giro, poi torno, la riprendo, sorrido. "More mi dispiace, ma io non mi sento come tutti gli altri, non lo so, non so come non so perchè, ma io sono diverso. E mi dispiace. E mi dispiace perchè ci vorrei provare, ad essere come tutti gli altri, ma sento che non ne sono e non ne sarei mai capace. Mai e poi mai. Io mi sento diverso ed ho paura, una paura fottuta di trascinarti verso una strada... che non è quella giusta. Io. non lo so, mi sento... diverso."
Ma moroso, tu sei diverso. Tu sei il mio Morosone Bello, e non devi cambiare, perchè nessuno mai potrà essere stupendo come te.
Mi guardo intorno, e di quel vecchio cortile poco è rimasto. Ci sono ancora i panni stesi in comune, c'è ancora la possibilità di arrivare ovunque a piedi nel giro di pochi metri. Ci sono le persone che chiacchierano in bicicletta e la sensazione che tutto sia lento, lentissimo, quasi immobile. C'è un silenzio clamoroso, che ha sempre stimolato indicibili pennichelle (ma la notte quel silenzio non ha mai aiutato).
Parto dal campanile e con la mente viaggio in lungo e in largo scavando nella memoria: le vacanze di Natale di mille anni fa, con mio cugino per i fossi a pescare le rane, sparare i miniciccioli, giocare alle Olimpiadi su un pc dell'IBM dell'anteguerra: che felicità... ma dov'è finito tutto quanto? I pomeriggi a bighellonare, gli amici di mio cugino che parlano in dialetto e io non capisco, le assurde regole che dominano la comunità, i ritmi completamente sballati, la gioia di sentirsi legato agli altri pur essendo diverso.
Un attimo dopo sono allo Shu, nell'angolino vicino al nostro divanetto, mi sono appena scolato un vodkallapescalemon ed è tornata la voglia di ballare; mi avvicino alla MorosonaDolce, mi faccio stretto stretto, la guardo e vorrei dirle un miliardo di parole ma non ne esce nemmeno una. Mi abbraccia mi stringe mi accarezza, mi chiede che c'è ma niente, faccio troppa fatica. Ci metto un po' a smaltire i miei pensieri, mi faccio un giro, poi torno, la riprendo, sorrido. "More mi dispiace, ma io non mi sento come tutti gli altri, non lo so, non so come non so perchè, ma io sono diverso. E mi dispiace. E mi dispiace perchè ci vorrei provare, ad essere come tutti gli altri, ma sento che non ne sono e non ne sarei mai capace. Mai e poi mai. Io mi sento diverso ed ho paura, una paura fottuta di trascinarti verso una strada... che non è quella giusta. Io. non lo so, mi sento... diverso."
Ma moroso, tu sei diverso. Tu sei il mio Morosone Bello, e non devi cambiare, perchè nessuno mai potrà essere stupendo come te.
1 Comments:
At 25 febbraio, 2010 15:01, 香魚烘蛋Tata said…
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