BREATHING UNDERWATER

ultimo giro di bevute. il bar sta chiudendo, il sole se ne va. dove andiamo per colazione? non troppo lontano. sono stanco amore. sono stanco.

giovedì, giugno 05, 2008

Essere Freschi.

Claire pensava che potessi capire ogni sua parola: d'altra parte era il '96 e, si sa, ai quei tempi ero davvero fresco. A.R., la poetessa, aveva sboccato la sera prima mentre i miei due amigos si erano trattenuti: avevano pagato cinquemilalire una cocacola ed erano manzi. Manzi di brutto. Andarono in giro in tandem, quello figo a quattro posti, la gente si girava a guardarli ma non combinarono un cazzo. Colpa di Claire e A.R., la poetessa, che si shottarono un bicchierozzo di grappa. Era il '96. Le ragazze sboccarono. Il giorno dopo arrivai io. Ai tempi spaccavo, porcammerda.

Oddio, spaccavo ma venivo anche spaccato. L'ultima sera, Ferragosto, come d'abitudine ci si buttava tutti in piscina: se avevi le scarpe erano cazzi tuoi. Prendevamo la gente, io e Frà, e li scaraventavamo in acqua. Eravamo gli unici italiani oltre ai tizi dell'albergo, perciò tutti se la ridevano alla grande. Arrivò il mio turno ed io mi lasciai prendere facilmente: chiesi pietà per le scarpe ma, ovviamente, non mi fu concesso un trattamento speciale. Avevo davanti tutta la serata e non avevo più scarpe, porco cazzo. Andammo allo Splash. Ci accompagnò a piedi la mamma di Toni, tedesco-napoletano. Lo capivamo di più quando parlava in tedesco, non sto scherzando. Suo fratello Lello aveva dieci anni e giocava a carte con noi che eravamo più grandi: barava, si nascondeva le carte nel costume e se lo sgamavi faceva delle scene che manco le vedove palestinesi. Anche lui era comprensibile solo in tedesco. Ciò che rimase incomprensibile fu Frà, che non si fece buttare in piscina. Io non avevo più le mie scarpe, però ero stato parte della festa. Lui un po' meno.

Essere parte della festa è un concetto che devi interiorizzare il prima possibile: a un certo punto della vita, o ce l'hai o non ce l'hai. Io posso star qui a raccontare i tre giorni di Travedona per filo e per segno, ma lo ritengo inutile. Scrivo queste righe per ringraziare Dani, autentico Re del weekend. Nel '96 non ci conoscevamo, ma immagino fosse molto fresco pure lui. Arrivava in metropolitana a Loreto, e nel tempo in cui si aprivano e chiudevano le porte del vagone decideva cosa fare della sua giornata. Delle sue giornate, e conseguentemente della sua vita. Ha citato questo episodio di fronte a una folla di esaltati che forse lo ascoltava, forse no. Io però ho captato quelle semplici parole, ed ho rivissuto sensazioni vere. Di quando ero un po' meno fresco e un po' più sbattimentoso. Ognuno ha un passato da condividere: tutto ciò che succede da quando nasco a quando me ne vado all'altro mondo mi appartiene. Io non arrivavo fino a Loreto, ma lo sbattimento era uguale. La gioia di stare tre giorni a Travedona sta tutta lì. Porte che si aprono e si chiudono: percorsi lontanissimi eppure simili. Le peripezie del Varano (sia messo a verbale), il calcio argentino con Nick, l'abbraccio col Perkovic e gli show del Bagnino li tengo per me.

Qualcosa mi stava sfuggendo. Qualcosa di molto più grande di me, di noi, di tutto quanto. I ricordi di ciò che è stato, come una zavorra indispensabile hanno fatto in modo che tutto rimanesse a terra e non volasse via. Eppure manca ancora qualcosa.