JuniorMissaglia - Orione 0-3
La regola dice che quando si è troppo sconvolti non bisogna scrivere. E' una regola che ho sempre rispettato per proteggere me stesso e chi mi sta vicino. E' una regola giusta.
L'unica volta che accadde, non lo scorderò mai, fu nel dicembre del '94. L'annata calcistica era cominciata in maniera del tutto inaspettata: i medici mi avevano consigliato tre mesi di pausa dall'attività a causa del fastidioso morbo di Osgood-Slutter, che mi aveva colpito a marzo e dopo sei mesi non ne voleva sapere di svanire. Mi presentai al primo allenamento quasi per caso, sicuro del fatto che non sarei riuscito a correre. Invece sostenni l'intera seduta senza sentire dolore. Passarono i giorni ed il male era scomparso. Giocai la prima partita da titolare, in una squadra nuova, con un mister nuovo che mi dava una fiducia incredibile pur senza conoscermi: in un colpo solo, alla prima partita, numero dieci sulle spalle e gol su punizione. Non capivo.
Arrivarono una serie di vittorie perentorie. Si vinceva e basta. Un brutto passo falso sul campo del Leone XIII, ma poi ancora di corsa a vincere su tutti i campi. Scontro diretto contro il Peschiera Borromeo, al vertice insieme a noi, e sconfitta di misura in trasferta: 1-0 ma campionato tutto da decidere. Davanti a noi l'ultima giornata del girone di andata, e con l'anno nuovo il girone di ritorno.
In quella domenica di dicembre si andava dunque a giocare contro la (lo?) JuniorMissaglia. Squadretta di bassa classifica senza troppe pretese. Quel giorno successe qualcosa di strano. Entrai in spogliatoio ed il clima era tranquillo. Certo mi faceva strano essere così in ritardo: l'arbitro sarebbe arrivato a breve per la chiama, ed io ero appena arrivato! Mi vestii in fretta e furia, la maglietta rossa con il numero dieci era lì appoggiata all'unico posto libero sulla panca. La indossai ed uscii di corsa. A quel punto sentii una voce che mi chiamava. Quella voce pronunciò poche parole. Indimenticabili e, in senso positivo, scioccanti.
Vincemmo 3-0, e per la prima volta dall'inizio dell'anno fui sostituito. Avvenne alla fine del primo tempo, dopo tredici giornate in cui ero partito sempre titolare senza mai essere sostituito. Il mister si premurò di spiegarmi che siccome stavamo vincendo, ed eravamo vicino Natale, era giusto dare spazio anche ad altri. Al mio posto entrò il buon Ringhio, che in effetti meritava un premio per la sua assiduità negli allenamenti.
Anche se quella del Natale, in fondo, era soltanto una scusa. Quelle parole prima del riscaldamento mi avevano completamente disorientato, impedendomi così di affrontare la partita con la giusta concentrazione. Probabilmente giocai di merda, ma non mi ricordo un granchè. Ricordo soltanto quel gesto, la maglia rossa appoggiata, il discorso del mister con quella spiegazione non dovuta.
Oggi quella voce dovrebbe ripetere quelle stesse parole. Ma in cuor mio spero non accada. Ne soffrirei troppo, come soffro ripensando a questo episodio. Mi tengo la mia parte di ragione e di innocenza. Qualcosa è successo, domenica sera, proprio come quella mattina lontana, dicembre '94. Oggi come allora, cerco di non farmi troppe domande e mi tengo ciò che ne è conseguito. La corsa dalla morosa con lo stomaco ribaltato e la testa che pulsava, la birretta (anzi le due birrozze) nel peggior bar di Baggio, l'incapacità di raccontare, di trasmettere ciò che era successo. Gli sguardi di aiuto e di conforto. Mi tengo tutto questo. Una sola parola in più potrebbe distruggermi.
Per fortuna non è arrivata.
L'unica volta che accadde, non lo scorderò mai, fu nel dicembre del '94. L'annata calcistica era cominciata in maniera del tutto inaspettata: i medici mi avevano consigliato tre mesi di pausa dall'attività a causa del fastidioso morbo di Osgood-Slutter, che mi aveva colpito a marzo e dopo sei mesi non ne voleva sapere di svanire. Mi presentai al primo allenamento quasi per caso, sicuro del fatto che non sarei riuscito a correre. Invece sostenni l'intera seduta senza sentire dolore. Passarono i giorni ed il male era scomparso. Giocai la prima partita da titolare, in una squadra nuova, con un mister nuovo che mi dava una fiducia incredibile pur senza conoscermi: in un colpo solo, alla prima partita, numero dieci sulle spalle e gol su punizione. Non capivo.
Arrivarono una serie di vittorie perentorie. Si vinceva e basta. Un brutto passo falso sul campo del Leone XIII, ma poi ancora di corsa a vincere su tutti i campi. Scontro diretto contro il Peschiera Borromeo, al vertice insieme a noi, e sconfitta di misura in trasferta: 1-0 ma campionato tutto da decidere. Davanti a noi l'ultima giornata del girone di andata, e con l'anno nuovo il girone di ritorno.
In quella domenica di dicembre si andava dunque a giocare contro la (lo?) JuniorMissaglia. Squadretta di bassa classifica senza troppe pretese. Quel giorno successe qualcosa di strano. Entrai in spogliatoio ed il clima era tranquillo. Certo mi faceva strano essere così in ritardo: l'arbitro sarebbe arrivato a breve per la chiama, ed io ero appena arrivato! Mi vestii in fretta e furia, la maglietta rossa con il numero dieci era lì appoggiata all'unico posto libero sulla panca. La indossai ed uscii di corsa. A quel punto sentii una voce che mi chiamava. Quella voce pronunciò poche parole. Indimenticabili e, in senso positivo, scioccanti.
Vincemmo 3-0, e per la prima volta dall'inizio dell'anno fui sostituito. Avvenne alla fine del primo tempo, dopo tredici giornate in cui ero partito sempre titolare senza mai essere sostituito. Il mister si premurò di spiegarmi che siccome stavamo vincendo, ed eravamo vicino Natale, era giusto dare spazio anche ad altri. Al mio posto entrò il buon Ringhio, che in effetti meritava un premio per la sua assiduità negli allenamenti.
Anche se quella del Natale, in fondo, era soltanto una scusa. Quelle parole prima del riscaldamento mi avevano completamente disorientato, impedendomi così di affrontare la partita con la giusta concentrazione. Probabilmente giocai di merda, ma non mi ricordo un granchè. Ricordo soltanto quel gesto, la maglia rossa appoggiata, il discorso del mister con quella spiegazione non dovuta.
Oggi quella voce dovrebbe ripetere quelle stesse parole. Ma in cuor mio spero non accada. Ne soffrirei troppo, come soffro ripensando a questo episodio. Mi tengo la mia parte di ragione e di innocenza. Qualcosa è successo, domenica sera, proprio come quella mattina lontana, dicembre '94. Oggi come allora, cerco di non farmi troppe domande e mi tengo ciò che ne è conseguito. La corsa dalla morosa con lo stomaco ribaltato e la testa che pulsava, la birretta (anzi le due birrozze) nel peggior bar di Baggio, l'incapacità di raccontare, di trasmettere ciò che era successo. Gli sguardi di aiuto e di conforto. Mi tengo tutto questo. Una sola parola in più potrebbe distruggermi.
Per fortuna non è arrivata.
1 Comments:
At 11 novembre, 2008 12:07, Anonimo said…
Osgood-Slutter...che gran figlio di puttana...era anche per me il '94...e quel ginocchio faceva dannatamente male...
Posta un commento
<< Home