La Memoria Che Aiuta.
Io lo dico sempre che non bisogna mettersi a scrivere alle due di notte.
E dico sempre anche che certe porte non andrebbero mai aperte; che poi siano porte fisiche (vedi stanza di Travedona) o metaforiche (vedi archivi di Breathing), poco cambia. Certo le porte metaforiche, e metafisiche, fanno un po' più male. Un po' come chiudersi un dito nella porta. Sono cose che succedono, e in fondo chi se ne importa. Ma il discorso cambia se la porta te la sbatti in faccia da solo. Questo è un altro discorso.
E allora cos'è questa sensazione di vuoto se non la certezza (ma non si vive di certezze, cazzo, questa è l'unica certezza di cui vivo) che qualcosa sta per succedere? Qualcosa domani, o forse dopo, o forse la settimana prossima... Intanto, dopo aver beccato mille persone e personaggi al Dundas giovedì scorso, mi appresto a beccarne altrettanti (nei sogni!) questo sabato, che il peggior bar di Caracas a venti minuti dal Duomo di Milano compie sei anni. Sei anni vissuti pericolosamente insieme a me e al Bagnino, che un pomeriggio di ottobre mi disse: "ti porto in un posticino che ho appena scoperto, vedrai, ti piacerà". Quel cazzo di posto non mi è mai piaciuto, ma questo è un altro discorso.
Poi cos'è questo costante sforzo di dimenticare e ricordare tutto? Come si fa a ricordare il mondo intero, e come si può invece al contrario dimenticare un singolo evento, una sfumatura, un appiglio dell'anima? Non ricordo l'ultima volta che ho mangiato gli gnocchi al ragù, potrebbero essere passati secoli o forse no, non ricordo l'ultima volta in cui ho pensato "hey, in questo momento è tutto magicamente in ordine", però ricordo la prima lezione della mia professoressa di Lettere in prima media: ci dettò Autunno di Vincenzo Cardarelli e da sedici anni ogni volta che a Settembre piove mi torna in mente quella mattina grigia e quella prima lezione, emblematica e sopraffina. Ma dimenticare una poesia, no, non si può, anche se parla di un amore malato, anche se inizia con un bacio e finisce con un addio nemmeno urlato; e neanche sussurrato. La memoria non fa altro che ingannarci e l'unico antidoto è buttarsi a capofitto in ogni ricordo per destabilizzare la nostra stessa coscienza. Solo così ci si può sentire veramente liberi, veramente padroni di noi stessi. Ma questo è un altro discorso. Io non devo rileggere quel che ho scritto in quel preciso periodo, lo so punto e basta; siamo cambiati, sono cambiate tante cose, l'Autunno di Cardarelli presagiva un Inverno di morte mentre io ho la certezza (ma di quali certezze si può vivere?) che domani sorgerà di nuovo il sole. Forse anche questo è un altro discorso. Chissà se stai leggendo.
E dico sempre anche che certe porte non andrebbero mai aperte; che poi siano porte fisiche (vedi stanza di Travedona) o metaforiche (vedi archivi di Breathing), poco cambia. Certo le porte metaforiche, e metafisiche, fanno un po' più male. Un po' come chiudersi un dito nella porta. Sono cose che succedono, e in fondo chi se ne importa. Ma il discorso cambia se la porta te la sbatti in faccia da solo. Questo è un altro discorso.
E allora cos'è questa sensazione di vuoto se non la certezza (ma non si vive di certezze, cazzo, questa è l'unica certezza di cui vivo) che qualcosa sta per succedere? Qualcosa domani, o forse dopo, o forse la settimana prossima... Intanto, dopo aver beccato mille persone e personaggi al Dundas giovedì scorso, mi appresto a beccarne altrettanti (nei sogni!) questo sabato, che il peggior bar di Caracas a venti minuti dal Duomo di Milano compie sei anni. Sei anni vissuti pericolosamente insieme a me e al Bagnino, che un pomeriggio di ottobre mi disse: "ti porto in un posticino che ho appena scoperto, vedrai, ti piacerà". Quel cazzo di posto non mi è mai piaciuto, ma questo è un altro discorso.
Poi cos'è questo costante sforzo di dimenticare e ricordare tutto? Come si fa a ricordare il mondo intero, e come si può invece al contrario dimenticare un singolo evento, una sfumatura, un appiglio dell'anima? Non ricordo l'ultima volta che ho mangiato gli gnocchi al ragù, potrebbero essere passati secoli o forse no, non ricordo l'ultima volta in cui ho pensato "hey, in questo momento è tutto magicamente in ordine", però ricordo la prima lezione della mia professoressa di Lettere in prima media: ci dettò Autunno di Vincenzo Cardarelli e da sedici anni ogni volta che a Settembre piove mi torna in mente quella mattina grigia e quella prima lezione, emblematica e sopraffina. Ma dimenticare una poesia, no, non si può, anche se parla di un amore malato, anche se inizia con un bacio e finisce con un addio nemmeno urlato; e neanche sussurrato. La memoria non fa altro che ingannarci e l'unico antidoto è buttarsi a capofitto in ogni ricordo per destabilizzare la nostra stessa coscienza. Solo così ci si può sentire veramente liberi, veramente padroni di noi stessi. Ma questo è un altro discorso. Io non devo rileggere quel che ho scritto in quel preciso periodo, lo so punto e basta; siamo cambiati, sono cambiate tante cose, l'Autunno di Cardarelli presagiva un Inverno di morte mentre io ho la certezza (ma di quali certezze si può vivere?) che domani sorgerà di nuovo il sole. Forse anche questo è un altro discorso. Chissà se stai leggendo.
3 Comments:
At 21 ottobre, 2009 23:58, Anonimo said…
Leggo ma chissà se stai scrivendo a me.
At 22 ottobre, 2009 23:59, Joe Rokocoko said…
Se tu sei chi io penso che tu sia, allora sì. Sto scrivendo a te.
Ed è chiarissimo anche a te che sto scrivendo solo e soltanto ad una persona. Non possono esserci dubbi, direi. Dunque sei tu?
At 25 ottobre, 2009 15:30, Anonimo said…
Perchè non mi scrivi davvero? Proprio a me intendo. Solo a me. Forse ne avrei bisogno, ma in fondo non so. Scegli tu.
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