Quindici Sette Sedici Anni Dopo.
Così un altro 15 luglio è passato; il primo dal mio ritorno in Giambellino, sul luogo del misfatto.
Le tegole più chiare danno idea dell'imponenza maestosa del fuoco, la facciata su al quarto piano porta come cicatrici le pennellate più chiare, che hanno coperto il nero ma lasciano intendere che qualcosa di grosso è accaduto. Io ricordo. Io c'ero.
Sedici anni sono passati e faccio i conti con questo flashback senza esserne lontano, perlomeno fisicamente. Impossibile non ragionare sull'infinità di eventi che mi hanno accompagnato sulla via del ritorno, e sul bizzarro circo che vivacizza le mie giornate da quasi un anno ormai. Il baretto dei cinesi, la fermata dell'autobus, quattro chiacchiere con le due estetiste, entro in cortile e trovo sempre qualcuno con cui perdere due minuti; ma sono le solite facce di chi non ce l'ha fatta, di chi come me è tornato o non è mai nemmeno riuscito ad andarsene. Sono facce tanto simili alla mia, sono facce piene di espressioni che comprendo anche se appena accennate. Sono facce disilluse. Via Giambellino, ancora una volta, con i suoi riti e personaggi ricorrenti. Mi piazzo sul balcone e appoggio i gomiti al davanzale, cerco con il pensiero Dylan, la mia adorata Stella e un pallone di spugna di cui innamorarsi perdutamente, sotto il sole cocente o una pioggia torrenziale... Ma il volo è rapido e doloroso, per chi come me non è riuscito ad andarsene. Meglio rientrare e tenere quello che rimane ancora dentro, ancora per un po', almeno fino a domani sera. Mi appoggio cinque minuti e tornate tutti quanti a rivivere, ad affollare i miei pensieri. Non posso concedervi più di questo, non so nemmeno perchè. Ma va così. Guardo in alto, verso il balcone dal quale usciva fumo nerissimo. Quindici luglio, sedici anni fa. Un incendio e una donna da salvare, che però non c'era. Un giorno magari ve la racconto bene. Ma sono tornato in Giambellino, a due piani di distanza da quel fumo denso, e questa è l'unica cosa che conta adesso.
Chissà poi se doveva andare così.
Le tegole più chiare danno idea dell'imponenza maestosa del fuoco, la facciata su al quarto piano porta come cicatrici le pennellate più chiare, che hanno coperto il nero ma lasciano intendere che qualcosa di grosso è accaduto. Io ricordo. Io c'ero.
Sedici anni sono passati e faccio i conti con questo flashback senza esserne lontano, perlomeno fisicamente. Impossibile non ragionare sull'infinità di eventi che mi hanno accompagnato sulla via del ritorno, e sul bizzarro circo che vivacizza le mie giornate da quasi un anno ormai. Il baretto dei cinesi, la fermata dell'autobus, quattro chiacchiere con le due estetiste, entro in cortile e trovo sempre qualcuno con cui perdere due minuti; ma sono le solite facce di chi non ce l'ha fatta, di chi come me è tornato o non è mai nemmeno riuscito ad andarsene. Sono facce tanto simili alla mia, sono facce piene di espressioni che comprendo anche se appena accennate. Sono facce disilluse. Via Giambellino, ancora una volta, con i suoi riti e personaggi ricorrenti. Mi piazzo sul balcone e appoggio i gomiti al davanzale, cerco con il pensiero Dylan, la mia adorata Stella e un pallone di spugna di cui innamorarsi perdutamente, sotto il sole cocente o una pioggia torrenziale... Ma il volo è rapido e doloroso, per chi come me non è riuscito ad andarsene. Meglio rientrare e tenere quello che rimane ancora dentro, ancora per un po', almeno fino a domani sera. Mi appoggio cinque minuti e tornate tutti quanti a rivivere, ad affollare i miei pensieri. Non posso concedervi più di questo, non so nemmeno perchè. Ma va così. Guardo in alto, verso il balcone dal quale usciva fumo nerissimo. Quindici luglio, sedici anni fa. Un incendio e una donna da salvare, che però non c'era. Un giorno magari ve la racconto bene. Ma sono tornato in Giambellino, a due piani di distanza da quel fumo denso, e questa è l'unica cosa che conta adesso.
Chissà poi se doveva andare così.
2 Comments:
At 30 luglio, 2018 11:49, Anonimo said…
...chebello questo post <3
At 01 agosto, 2018 18:43, Dylan said…
mi hai fatto piangere e ridere allo stesso tempo
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