I Colori Che Verranno.
Ogni tanto apro gli occhi, può capitare anche questo; mi affaccio alla finestrella del bagno (non è una novità, in effetti) e cerco ispirazione, memoria, suoni e odori conosciuti, idoli dell'infanzia, contatti con l'universo invisibile. Così l'asfalto e l'erba bagnata fanno il loro mestiere, e rimango imbambolato per un paio di minuti, giusto il tempo di gelare la stanza; è ora di chiudere la finestra, e fermare così i pensieri e i viaggi che si stavano compiendo. Meglio non dare troppo spazio a certe sensazioni, a certi voli pindarici senza ali nè meta.
Qualcosa resta lo stesso ed il bello è soprattutto questo; resistere alla tentazione di crogiolarsi in questa amara nostalgia, e poi abbandonarsi all'improvviso come premio per le fatiche sostenute. E intanto il tempo macina giorni e settimane e mesi e scopro verità impensabili, sulla vita, sull'amore, perfino sulla mia persona, verità che pure sono sempre state davanti ai miei occhi e non ho mai, mai, mai voluto andare a guardare da vicino. Il Bagnino mi sopporta e mi supporta senza mai scomporsi, forse fa fatica anche lui ma non lo dà mai a vedere, si gode lo spettacolo che insceniamo convinto di sapere cosa succederà nel prossimo atto; io tremo ad ogni cambio di scena, ma è carattere in fin dei conti. Seduti al Temakinho abbiamo troppo tempo per parlare e mi scompongo solo sul finale, dopo tre sakerinha e quei roll con dentro la fragola che mi hanno impastato la bocca.
Mi scompongo ma non mi disunisco, mi scompongo com'è giusto che sia ma non mi disunisco; sto imparando, finalmente? Meglio non cantar vittoria. Mentre salgo le scale a Sant'Agostino il vento mi porta un assaggio di primavera, allora penso ai colori che verranno e non ho paura di affrontarli.
Approfitto del momento di spavalderia e chiedo al Bagnino, e alla Sylvie, se sanno dirmi chi sono io veramente, perchè ho paura di averlo dimenticato; le loro risposte arrivano dirette, veloci, affilate, potenti, non lasciano scampo nè spazio alle interpretazioni; sono parole e immagini che chiudono definitivamente un capitolo.
Grazie a quelle risposte, io ora sono in piedi.
Dopo sette mesi passati strisciando, direi che non è poco.
Qualcosa resta lo stesso ed il bello è soprattutto questo; resistere alla tentazione di crogiolarsi in questa amara nostalgia, e poi abbandonarsi all'improvviso come premio per le fatiche sostenute. E intanto il tempo macina giorni e settimane e mesi e scopro verità impensabili, sulla vita, sull'amore, perfino sulla mia persona, verità che pure sono sempre state davanti ai miei occhi e non ho mai, mai, mai voluto andare a guardare da vicino. Il Bagnino mi sopporta e mi supporta senza mai scomporsi, forse fa fatica anche lui ma non lo dà mai a vedere, si gode lo spettacolo che insceniamo convinto di sapere cosa succederà nel prossimo atto; io tremo ad ogni cambio di scena, ma è carattere in fin dei conti. Seduti al Temakinho abbiamo troppo tempo per parlare e mi scompongo solo sul finale, dopo tre sakerinha e quei roll con dentro la fragola che mi hanno impastato la bocca.
Mi scompongo ma non mi disunisco, mi scompongo com'è giusto che sia ma non mi disunisco; sto imparando, finalmente? Meglio non cantar vittoria. Mentre salgo le scale a Sant'Agostino il vento mi porta un assaggio di primavera, allora penso ai colori che verranno e non ho paura di affrontarli.
Approfitto del momento di spavalderia e chiedo al Bagnino, e alla Sylvie, se sanno dirmi chi sono io veramente, perchè ho paura di averlo dimenticato; le loro risposte arrivano dirette, veloci, affilate, potenti, non lasciano scampo nè spazio alle interpretazioni; sono parole e immagini che chiudono definitivamente un capitolo.
Grazie a quelle risposte, io ora sono in piedi.
Dopo sette mesi passati strisciando, direi che non è poco.
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