Il Muffin del Compleanno, a Differenza Nostra
Quindi, dove ci siamo persi? O meglio, dove eravamo rimasti? Il Mas Que Nada, certo, e subito dopo una gitarella a Travedona per rinfrancare lo spirito, per ritrovare quello stimolo vitale, quella forza tenace e semi-demoniaca che è la scrittura, per provare a ritrovarsi e mettersi nuovamente in gioco. Ma ora? Anzi, ma prima?
Inutile cercare di mettere un po' d'ordine, qui posso permettermi di avanzare a scossoni e afflizioni, prendendo come punti certi di navigazione dogmi del passato remoto e turbamenti irrisolti; posso e voglio, posso e devo. Più che altro, sì, lo devo. A me e non solo.
Jesolo, quindi. Il primo pensiero è la nostra camera d'albergo, piccolina e caldissima ma con l'aria condizionata che va che è un piacere; poi il balcone tattico, fronte mare, sempre fresco e ventoso, su cui possiamo addirittura festeggiare il mio compleanno. A distanza di cinque anni mi chiedo ancora come tu sia riuscita a trasportare da Pioltello il muffin con le candeline, giunto a destinazione intonso e sorprendente, ma ormai preferisco non sapere. Lukaku segna su rigore mentre Gretoski mi canta tanti auguri, esulto in silenzio e tanto la partita finisce a schifìo lasciando un pizzico di rammarico sulla nostra ultima sera.
Ripenso al materassino che mi hai regalato, alla stupida lite che ne è seguita, a tutte quelle cose che non abbiamo mai saputo o voluto chiarire; ripenso a quel locale stupendo dove comporre il cono gelato personalizzato e a quante volte ci saremmo dovuti tornare con le ragazze ma non siamo mai stati pronti, dinamici, organizzati; ripenso a quando ti ho regalato una semplice granita e tu mi hai ringraziato per giorni e io ancora adesso mi ripeto che dovevo fare di tutto per scatenare la tua dolcezza così intrappolata, e mi danno l'anima perché nonostante i molteplici tentativi, alla fine, non ci sono riuscito. Eppure, continuo a dirmi, di cose belle ce ne sono state, ma perché si è guastato tutto non lo so; o forse era tutto sbagliato dall'inizio, io questo non riesco più a decifrarlo. Mi chiamavi dalla spiaggia perché non sapevi aprire l'ombrellone, e anche se ero arrabbiato arrivavo di corsa perché preferivo farti un favore che un dispetto (ancora oggi è così). E lo so che stai rivedendo anche tu la scena del mio colpo di nuca alla mensola sopra il letto, che a momenti mi spacco la testa e vien giù pure l'armadio, e quanto abbiamo riso quel pomeriggio veramente non saprei dire.
Jesolo, quindi. L'ultimo pensiero è che c'era una parte di noi che forse abbiamo visto solo noi e che ci siamo goduti solo noi e che non siamo stati capaci di far vedere. Anche se c'era. Anche se resta, come restano i Cevapcici del ristorante balcanico, che tu elegantemente chiamavi "i cazzettini". Sorrido per le premure che hai avuto per l'intera durata della vacanza e pazienza se poi trascinarti a bere un gin tonic era un'impresa. Quei giorni e quelle sere me li sono goduti... Però troppi litigi, sempre. Troppe pressioni. Tutto troppo. Dovevamo fare meglio. Potevamo. Come i tizi dell'albergo, che ci hanno chiuso fuori dalla stanza un'ora prima del previsto e non si riusciva più a rientrare, e poi ce l'hanno menata all'infinito perché ci eravamo concessi una cena fuori. Cosa resta, infine?
La negatività o la voglia di tornare, prima o poi?
Potrei giurare di non sapere la tua risposta.

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