BREATHING UNDERWATER

ultimo giro di bevute. il bar sta chiudendo, il sole se ne va. dove andiamo per colazione? non troppo lontano. sono stanco amore. sono stanco.

giovedì, gennaio 10, 2013

A Proposito Di Affordance

"Non dimenticarti di quello che hai fatto l'altra mattina. Ti sei messo in gioco, eri da solo, nessuno ti aveva chiesto di farlo, e di tua spontanea volontà hai affrontato una tua piccola insicurezza e l'hai sconfitta. Che si tratti di un viaggio in macchina nella nebbia, di una vasca da lavare o di una spremuta d'arancia (o di una pastiglia da mandare giù, direbbe il Bagninazzo), io so che posso contare su di te in ogni momento... perchè anche se in un modo goffo e magari poco convenzionale... tu raggiungerai l'obiettivo, come hai sempre fatto."

Ci sono oggetti parlanti, dice Maurizio Ferraris, e oggetti che invece risultano "opachi", in quanto il loro utilizzo ci appare inizialmente oscuro. La capacità di un oggetto di contenere in sè il proprio significato è definita con la parola inglese "affordance". Tu vedi un martello, e capisci subito a cosa serve e come si usa. Vedi una sedia, e ti ci siedi. Gli uomini sono abituati all'opacità della parola, ma non a quella degli oggetti. Quando non riusciamo a "capire" un oggetto, quando quest'oggetto non ci comunica nulla, le reazioni sono solitamente di due tipi; i bambini, e i paranoici, pensano ad un complotto, ad una rivolta delle cose. Gli adulti invece generalmente se la prendono con se stessi.

Ed è proprio a questo punto, che arrivo io. Non ci sono oggetti parlanti, nel mio quotidiano. Soltanto misteriosi attrezzi che sfuggono al mio controllo, all'intuizione, alla manualità. Niente esiste, ai miei occhi, a livello di utilizzo immediato, insito nell'oggetto; la parola affordance non significa nulla -è una parola opaca! Fammi cercare un barattolo di zucchero, dimmi che è di fianco ai fornelli, sulla destra, appena dietro al cavo del tostapane, vicino al cesto della frutta secca, ed io non lo troverò comunque. La mia è una specie di cecità al cambiamento, però perenne. La cecità al cambiamento è stata sperimentata in varie candid camera. Un tizio, con in mano una cartina stradale, ferma un passante per chiedergli informazioni. Mentre il passante comincia a spiegare, e gesticolare, passano due complici che trasportano un quadro. I due complici passano, insieme al quadro, in mezzo ai due che parlano. A questo punto, il primo tizio si nasconde dietro al quadro, scappa via e viene sostituito da un'altra persona (che inizialmente trasportava il quadro). Nella maggior parte dei casi, il passante non si rende conto dello scambio di persona e continua a dare tranquillamente indicazioni, parlando ad una persona completamente diversa! La mia è una perenne cecità al cambiamento, combinata ad una malsana dose di insicurezza, notevole ripudio per ciò che è nuovo e sconosciuto, spasmodica ricerca della perfezione, e soprattutto un'inossidabile, ossessiva, auto-distruttiva, incommensurabile paura di sbagliare.

Come dicevo oggi al telefono alla Sisterona, se in una normale attività parti da zero e devi arrivare a cento... bè io devo fare cento già solo per partire da zero: la situazione è insostenibile. Ma è davvero possibile, pensabile, fermarsi ed accontentarsi? Il Bagninazzo mi scuote al telefono (Meravijosa, Sisterona, Bagnino... ho avuto davvero bisogno d'aiuto, oggi!), abbandonare la disputa non è da te, non te lo sognare nemmeno. Affronterai questa nuova avventura con il tuo stile impeccabile ed originale. Questo è ciò che sei, ricordo il ritorno a casa alle tre di notte col furgone, ogni volta che ho avuto bisogno ci sei stato; e ci sarai ancora.

Ma davvero non si può ridurre tutto in quattro parole; lo sforzo mentale di questo "giorno di prova" è stato immane ed estenuante, e l'effetto non decresce. Si fa anzi più amara, di ora in ora, la consapevolezza che alcune turbe, come mi ha detto la Sisterona, non passeranno mai completamente; devi provare a limitarle il più possibile. Chiudo la giornata con un grido d'aiuto, con un piagnisteo, con una resa incondizionata. A parole, posso ancora permettermelo.