Sono Nato Per Sostenere Te
Dentro ognuno di noi deve sopravvivere il bambinetto che si sporge dalla balaustra per dare il "cinque" ai giocatori ogni volta che entrano sul ghiaccio o tornano negli spogliatoi. Da diverso tempo frequento solo la curva, al palazzetto, e ho abbandonato i posti laterali, sopra la nostra panchina, che alla fine sono i migliori, per la vista e per la vicinanza ai giocatori. Forse un giorno tornerò a sedermi lì, e sarà bello farsi calpestare dai bambinetti in cerca di un contatto, minimo ma emozionante, con i nostri eroi. Dentro ognuno di noi deve sopravvivere quello spirito nobile, battagliero, sognante. Anche quando tutto sembra perduto, anche quando la squadra non gira, anche quando si perde e basta, anche nel tuo peggior momento, anche se dobbiamo pensarci, anche se un punto interrogativo sta inghiottendo qualsiasi pensiero, anche se tutto quanto; bisogna sporgersi e tendere la mano in equilibrio precario. Il piccolo rischio è sempre ripagato.
Partita dopo partita, stagione dopo stagione, telefonata dopo telefonata, sambuchina insieme dopo sambuchina insieme.
Direi La Seconda.
Ma chissà poi se sei tu che stai aspettando al varco qualcuno, o se sono io che sto aspettando al varco te.
Ad Ogni Costo.
Continuo a pensarci, continuo a ripetermelo, se non è questo il momento, allora non potrà esserlo mai più. E' adesso... deve essere adesso, voglio che sia così!
C'è apprensione in azienda, c'è un clima teso e sospeso, i cambiamenti nuocciono alla salute di chi non sa affrontarli ed io mi trovo nel centro del ciclone. Sospeso, perchè ci metto l'entusiasmo ma va e viene. Teso, perchè voglio emergere ad ogni costo, l'ho promesso a me stesso più di sei mesi fa. Non sono impaurito. Siamo in settanta ad affrontare questo cambiamento di commessa, il che livella tutti verso il basso e chi s'è visto s'è visto. Nessun trauma questa volta, dopo i venti mesi spesi per la Eon e le sue fatture incomprensibili e le vecchiette col gas staccato a gennaio, l'assistenza tecnica di Sky mi ha visto protagonista per pochi mesi (ma intensi). Ora bisogna rimettersi in gioco, così torniamo nell'aula dove abbiamo frequentato il corso di formazione a marzo... tre settimane da pazzi, Luis invitato a Buccinasco per provare il menu di Sky, le bevute e le pizzate promesse e mai organizzate, i compagni di avventura che si perdono inesorabilmente, uno via l'altro... che triste mondo il call center, lo vorrei gridare ma mi trattengo perchè sono sempre riuscito ad apprezzare quel briciolo di umanità che affiora tra un cambio turno ed una pausa insieme, ed ho trovato amici e persone indimenticabili anche in un luogo che è l'antitesi della socializzazione. Ma non importa (non smettiamo se ci fa sorridere, chioserebbe Mao), ho altri progetti e altre strade da seguire; non so nulla, non so esattamente come, ma per una volta, cazzo, ho in mente il perchè. Questo basterà. Emergere ad ogni costo, poi spiccare il volo. Ho sempre odiato i proclami, ma bisogna avere anche il coraggio di buttarsi, di tanto in tanto. Devo riconquistare qualcosa di molto importante, oltre alla fiducia in me stesso. Devo sfruttare l'occasione, cogliere il momento.
Perchè se quel fatidico momento non è adesso, cazzo allora non può essere mai più.
Il Mister Più Forte
Ho finito l'allenamento e come di consueto mi fermo a parlottare con dirigenti, faccendieri, genitori, allenatori; chiunque passa vuole salutarmi e prendermi un po' in giro, ero sparito dalla circolazione lasciando un piccolo, forse grande, vuoto all'US Orione e queste dimostrazioni d'affetto mi fanno sempre piacere. In questi diciotto mesi lontano da quel campo che è luogo mitico e mistico ho ricevuto diversi attestati di stima, ma ora me li godo appieno, di persona; ho avuto modo di riflettere, valutare con attenzione se tornare o meno, dissotterrare l'ascia di guerra... Mi beccano subito Alex e Tremo che mi vogliono tirare in mezzo con il fatidico giornalino TuttOrione, ed a loro non saprei mai e poi mai dire di no. Scambio due battute veloci con il neopresidente, un paio di mister e i ragazzi del '98 che ho tenuto per pochi mesi; si fermano tutti volentieri a scherzare e a chiedermi se è vero che sono tornato, se non li lascerò di nuovo. Poi finisce l'allenamento dei 2001, i miei 2001, che ora sono Esordienti, domani saranno Giovanissimi, ma un tempo insieme a me erano PiccoliAmici e poi Pulcini... che epopea straordinaria, quattro anni passati insieme sui campi di Milano e provincia, sempre in difficoltà, sempre troppo pochi e troppo scarsi, sempre alla ricerca di nuovi innesti perchè ne avevamo disperato bisogno. Si perdeva spesso, a volte tanto a poco, ma i "ragazzi" mi seguivano ciecamente; un gruppo così non lo si trova facilmente, genitori affiatati ed uniti, mai una polemica, mai una frase fuori posto, mi implorarono di non abbandonarli ma nel 2011 decisi che ne avevo abbastanza, ci eravamo divertiti ma i bambini avevano bisogno di confrontarsi con altri allenatori, altri modi d'intendere il calcio. Sapevo a cosa li stavo mandando incontro, perchè all'Orione purtroppo certi errori si ripetono all'infinito, ma anche se il peggior allenatore della storia era lì pronto a subentrare, io non cambiai idea. Giurai di non abbandonarli, ma a tutti gli effetti andò così.
Mi metto davanti all'ingresso degli spogliatoi così li posso salutare tutti: Maracas sta piegando le pettorine ed io mi metto a ridere da solo osservandolo e ripensando a quella volta che per punizione lo mandai a contare le pozzanghere sul campo. MarcoZ mi dà la mano, io gliela stritolo un po' e gli tiro il braccio, vengono a salutarmi tutti uno dopo l'altro e per ognuno ho una battuta, un ricordo allegro. Poi sento la voce di DavideLC provenire dallo spogliatoio, avete visto?, qua fuori c'è mister Joe! Uno dei nuovi ragazzi gli chiede di chi sta parlando, e lui con il suo entusiasmo da dodicenne esclama ma come, Mister Joe è il mister più forte dell'Orione! Ci faceva allenare sempre con la palla, non si correva mai! Cioè... solo per punizione, ma ci faceva divertire tantissimo! Ed io non amo origliare allora me ne vado, ho già ascoltato abbastanza, scambio due chiacchiere ancora con quei genitori che tanto rispetto e tanta stima avevano dimostrato nei miei confronti, poi è davvero ora di tornare a casa. Nulla è cambiato, allora, ecco perchè l'Orion Square Garden Paradise Circus è da sempre un luogo mitico e mistico, il tempo si ferma e forse per la prima volta me ne vado commosso, quasi piangente, pieno d'orgoglio e di dolci ricordi. Bisogna sempre percorrere nuove strade, ma non bisogna mai dimenticarsi da dove si è partiti. Io ho deciso di scegliere, con un po' di coraggio, di ricordarmi sempre chi sono e da dove arrivo. Il resto, lo spero, verrà da sè.
Mi Raccomando Vai A Correre
L'indurimento muscolare qua dietro la coscia sinistra, i pensieri, il fiato corto, questo dolore incomprensibile -anzi, comprensibilissimo- alla schiena dopo dieci minuti di corsa, le motivazioni che trovo dietro ogni angolo. Non ho voglia, non ho voglia, non ho voglia fino all'ultimo secondo, poi quando non posso più rimandare mi infilo una maglia che arriva dall'Australia, i pantaloncini da baskettaro bianchi della Nike e le scarpette comprate alla Decathlon insieme a Colin, mentre una coppietta girava mano nella mano per i corridoi (ma come cazzo si fa)... Ed il cielo è ancora azzurro, il cambio dell'ora incombe allora mi godo questo sprazzo di caldo, ad Autunno cadono le foglie ed incombono le scelte, oggi ho dato un'occhiatina qua e là ma un'idea precisa ancora non ce l'ho. Cosa vuoi fare da grande, Joe? Il giocatore di hockey, chiaro. E allora devo correre, devo potenziare le gambe, la schiena, gli addominali, lasciare a terra questo zaino di quattordici kg pieno di vizi, patatine, birre e cattive abitudini... soltanto così ce la potrò fare. Ho scelto di inseguire un sogno, ho scelto di inseguirne cento, ho scelto di poter credere in qualcosa dopo tanto, troppo tempo. Gli ultimi due minuti trascino la gamba sinistra ma provo l'allungo, l'azzardo, la progressione, non sono più la gazzella del 1996 ma questo cuore è ancora capace di grandi cose. Stamattina la Minou faceva i complimenti alla stecca regalatami da Silvietto, ed io ho pensato che allora è proprio questa la strada giusta. L'impegno, la corsa, il ghiaccio, poi magari una sambuchina, perchè no. Quando scrivo vi sento tutti più vicini, oggi come nel 2005... è ancora il mio turno per dirvi grazie, dopotutto. Questo muscolo non mi dà tregua, ma mi mantiene vivo, in fin dei conti; pensante, appena dolorante, motivato, proiettato al futuro.
Io ti ringrazio, maledetto bicipite femorale.
Calmante.
Un secondo prima, sono in ultimo banco con Pacio, in fondo sulla destra, di fianco al muro per appoggiarmi ben bene. Stiamo giocando di nascosto a carte, che la lezione di educazione tecnica a quest'ora non si può affrontare. Siamo splendidi nei nostri tredici anni. La professoressa Calmanti, sempre dolce e sensibile, ogni tanto divaga ed alleggerisce le ore con insegnamenti extra, che poi sono quelli che rimangono nel profondo. E sta succedendo proprio adesso. Alzo lo sguardo per controllare che non ci scopra intenti con le carte, e riesco a captare un discorso che mi entrerà in testa per non uscire più.
Vedete, voi ora non vedete l'ora di scendere gli scalini di questa scuola, per non risalirli mai più... perchè siete in terza e tra poche settimane finite le medie... e allora vi sembra di avere il mondo ai vostri piedi, ed è giusto... però un giorno, fidatevi, non vedrete l'ora di tornare a risalire quei gradini. E penserete con grande malinconia ai giorni passati qui, anche se ora vi sembra impossibile! Ah, come sognerete di tornare su questi banchi!
Un secondo dopo, sono al RanchRoberta in compagnia di due elementi che quel discorso, a meno che assenti, lo ascoltarono in diretta con le loro belle orecchie. E allora do un senso al nostro incontro senza raccontare -perlomeno non subito- questo aneddoto, per poi riproporlo nel momento più importante. Quello dopo i saluti. Quando non sai mai se ci sarà una prossima volta, tutti e tre insieme. Quando i commenti si diradano e rimangono i sorrisi, davanti ad un Montenegro con ghiaccio o un DiSaronno. Il Bagnino ha sempre odiato la mia ciclopica, abissale memoria. Odiata ed invidiata. Ma come fai?, mi chiede. Ed io posso solo rispondere che anch'io, di tanto in tanto, preferirei essere capace di dimenticare qualcosa, piuttosto che ricordare tutto.
Spiragli Autunnali
L'Autunno comincia con questo freschino serale che mi punzecchia appena; Milano non sarà Brunico, e meno male, ma la temperatura fa presto a scendere in picchiata e da qui in avanti non promette nulla di buono. Combatto il grigio, che ci accompagnerà a lungo, con i miei sballati accostamenti mattutini; pantaloncini bianchi, scarpe grigie, calze nere, k-way azzurro, mi rintano nel parchetto dietro casa e ci passo un po' di tempo. Fin quando il cuore e la testa mi tengono in piedi, io vado. L'Autunno comincia con un messaggio in privato, su facebook, da parte di quel Dylan che spesso nomino e troppo poco frequento: ma che è qui, in questa stanza, tra le mura di questo cortile, ogni volta che torno in quartiere, ogni volta che apro il portoncino, ogni volta che il cuore si spezza. Dylan c'è e sa come esserci, non mi commuovo perchè sono di fretta, leggo tutto d'un fiato un paio di volte ed è già ora di uscire. Non trovo le parole per ringraziarlo, allora rimando, perchè di fronte a certe dichiarazioni mi ritrovo sempre stupito, imbastito, quasi raggelato, come se non riuscissi a sostenere il peso di un legame così forte. L'amicizia, quella vera, non conosce ostacoli e Dylan lo sa bene. Rileggerò il suo messaggio un miliardo di volte, e non troverò mai le parole...
Ma Dylan, per fortuna, non è l'unico a dimostrarmi una vicinanza intima, sincera, radicale. Il Varanone mi regala via sms un attestato di stima che è un tripudio per la mia anima sfregiata (ma tu sei uno scrittore d'emozioni e già lo sai). E' un Autunno improvvisamente denso di impegni, uno via l'altro senza respiro, come dice il Bagninazzo che di apnea se ne intende l'importante è tenere la barra dritta, e chissà se devo vedere in controluce la sua solita malizia... Per una volta no. Io lascio sempre qualche spiraglio, qualche porta aperta, a volte sono io a scrivere senza ricevere risposta ma so che non devo preoccuparmi, è tutto normale e tutto sbagliato allo stesso tempo; vorrei non prendere nessun impegno, forse scriverò per altri dieci giorni consecutivi, ma prima voglio parlarne un po' con me stesso. Per oggi va così, domani mentre mi trascino al parchetto ci penso un po' su, e a tarda sera magari avrò la risposta. Che Autunno mi aspetta, in fondo, ancora non lo so.
Una Sera Su Trenta.
C'è stata una sera, in questi trenta giorni, più bella delle altre. Una sera in cui ho potuto parlare liberamente, senza premesse e senza omissioni, aprendo completamente il mio cuore alla verità. E di risposta non ho ricevuto nè accuse, nè supposizioni, nè subdole calunnie, nè trame infondate. Ho potuto ascoltare qualcosa di vero, qualcosa che mi appartiene profondamente, qualcosa che è destinato a rimanere. Ho ascoltato e poi parlato ancora, senza contrattaccare, anzi; ho avuto la netta sensazione di trovarmi di fronte ad un punto di svolta, finalmente, un punto dal quale ripartire; per una volta in vita mia ho capito che quando ti trovi spalle al muro, è inutile continuare ad indietreggiare, bisogna andare avanti e fronteggiare paure, traumi del passato, fallimenti, errori dolorosi. Si deve affrontare tutto. E' stata una sera più bella delle altre, anche se non ricordo dove fossi nè in compagnia di chi. Quello che conta, che rimane, è la sensazione di ritrovata fiducia, perchè se posso ammettere a me stesso i miei errori, allora posso veramente voltare pagina e ripartire. Una sera dolorosa, ma allo stesso tempo purificatrice, una sera di passione e redenzione, una sera in cui mi sono potuto rivelare completamente, anche se in fondo ero da solo con me stesso. Dall'altra parte dello specchio, per una volta, nessuna parola di biasimo. Nessuna scorciatoia, nessuna bugia. Se è tutto sbagliato, in fondo, lo era anche quella sera in cui Le chiesi di tornare indietro per una vodka alla menta.
C'è stata una sera più bella delle altre, e vorrei poter dire che non me l'hai regalata tu. Io non ricordo più dov'ero, se in taverna a Trezzano, o nel retro del Dundas, o seduto sul marciapiede alla Barceloneta o appoggiato al Pickup in qualche parcheggio. So solo che ho sentito nell'aria il tuo profumo, ed in quel preciso istante avrei voluto abbracciarti, stringerti forte, e sussurarti all'orecchio sei la più bella del mondo.
Prima Di Banksy.
"Lascerei volare il mio cuore, so che verrebbe a cercarti."
Se Potessi Dirti Che Qualcosa è Storto Nel Tuo Ragionamento...
L'insegnamento della domenica è che se alle dieci del mattino vai a pattinare e non ti porti le gomitiere, poi alle due del pomeriggio avrai un male allucinante al gomito destro. E di cosa dovrei incolparmi? Già lo sapevo. Ma avevamo fretta di portarci sul ghiaccio, io e Silvietto Maestro Di Sport; ci presentiamo all'appuntamento con la stessa tuta blu e scoppiamo a ridere prima ancora di salutarci. Da casa mia hanno sentito la sua mastodontica risata fino in BandeNere, fin dentro al baretto di viale Pisa nel quale non riuscivo a rientrare perchè spingevo la porta sbagliata. Ma questa è un'altra storia, o è la stessa che sovrappongo per confondere le acque già troppo agitate di questo Ottobre piovigginoso e freddino. Non è tempo di proclami, semmai di riscatto. Ad un certo punto ci si ritrova per forza a fare i conti con la propria esistenza, ed è allora che i nodi degli amici distanti vengono al pettine. Chi vuole esserci sa come esserci, la sostanza è immutabile nel tempo. Personalmente, dentro a questo immenso caos avevo messo ogni pezzettino al suo posto. In due è sempre più facile, certo. A volte ripenso alle nostre chiacchierate seduti sul marciapiede di fianco al pickup, e non posso credere che siano passati secoli. Tanto anche all'epoca niente era a posto, niente era giusto, niente era sensato. Almeno, dico io, una certezza l'avevo. Che forse è rimasta immutata. Pattinare è una questione di equilibrio, mi spiega il Maestro Di Sport, Oste Della Malora, Silvio Pernico Del Dundas; è tutto un dondolare, un dosare l'angolazione sulla lama, trovare la posizione giusta, farsi i muscoli per poter rendere al massimo. Se poi una mattina cadi e non hai le gomitiere, ti farai un po' male. Ma questo fa parte del gioco. Se non hai le palle per buttarti sul ghiaccio, allora lascia stare.
Vecchio Caro LG Rosa e Nero
La Samsung non mi ridà il telefono, le Poste non consegnano le mie lettere, mi arrivano sms e telefonate senza senso da numeri sconosciuti, al lavoro mi caricano straordinari improbabili e l'influenza continua ad attanagliarmi. Questa è la premessa. Il resto è una partita di hockey dietro l'altra, Silvietto che mi fa provare i suoi pattini in un delirio di entusiasmo (ma da quanto tempo non lo vedevo così sorridente al Dundas?), una telefonata con qualche segreto, una poesia ricevuta via sms, l'abbraccio con una collega che è appena stata lasciata a casa. Una volta mi hai scritto che non si può vivere in un mondo senza luce, e cazzo se avevi ragione.
Sostenere.
Si potrebbe ben dire che sto seguendo una terapia a base di hockey; seguito, tifato, perfino -ma lo scrivo tra virgolette- "praticato". Una strada per esorcizzare e sdrammatizzare il momento; la prima volta all'hockey mi ci ha portato il buon Silvietto ma è stata un'altra persona e renderlo così speciale (sapete tutti di chi sto parlando, ovviamente). Ed io non voglio perdere quest'insana passione, mi ci butto a capofitto anche se, conoscendomi, sapete bene che io non esorcizzo, non sdrammatizzo, non dimentico mai un cazzo. Ad un certo punto semplicemente vado oltre; comunque, anche continuando a torturarmi psicologicamente seguendo il Milano, a volte mi sembra di essere ancora al punto di partenza. Percezioni. Molte persone si sono dichiarate fiere di me in questi giorni, proprio per questo mio goffo ma deciso tentativo di trovare una mia strada. E allora mi sparo queste quattro ore di macchina per andare a Brunico, e sono al riparo da ogni coro ormai, perchè se riesco a cantare sembra impossibile senza più versare una lacrima, e se alla fine posso sbandierare tranquillamente sulle parole di anche nel tuo peggior momento, non c'è niente che possa scalfirmi, che possa atterrirmi. Ma ovviamente, a metà del primo periodo, mi accorgo che mi sto sbagliando.
E' sempre Chicco a pronunciare le prime, magiche parole, con quel suo vocione autorevole ed entusiasmante: questa volta il motto è SOSTENIAMOOOOO...
Ed in mezzo secondo la mente da lucida si fa eterea; sono in macchina a Bormio, l'allora Meravijosa sta male, anzi ora meglio, ma è stata malissimo tutto il giorno, però non ha voluto rinunciare ad un giretto pomeridiano. E' SantoStefano e ci si ritrova al solito locale per un bell'aperitivo. Ho appena parcheggiato, e sono abbastanza contento perchè girare per queste stradine del cazzo di montagna con la neve a terra era una piccola sfida alla quale la tenace Minou2 mi ha sottoposto. Sfida accettata e vinta. In macchina con Martolins ci divertiamo a cantare tutti i cori del Milano, la Meravija è ovviamente giù di tono e di tanto in tanto rimane senza fiato, senza parole, mentre io e sua sorella continuiamo ininterrottamente a stravolgere le parole di ogni nostro inno, sostituendo la parola Milano con Popina. E così il gioco dura per dieci minuti buoni, si parte da se tu ami la Popina canta insieme a me, passando da che bello è quando esco di casa per andare a Bormio a trovar la Popina (che lo so che vi state chiedendo chi è la Popina, ma non rompete, la Popina è la Popina punto e basta), per poi chiudere con quello più semplice, ma che ci rimarrà in testa per più tempo. Sosteniamo la Popina, alè alè alè la Popina, sosteniamooooo la Popinaaaaa alè alè alè la Popinaaaaaa... ed è un continuo poi per i giorni ed i mesi a venire, sosteniamo diventa il nostro canto d'amore per la loro cuginetta di due anni appena, che noi incitiamo ed incoraggiamo con le parole che useremmo per una squadra di hockey. E allora c'è tanto di me in tutto questo, c'è tantissimo di noi, di Bormio, del concetto di famiglia, di tutto quello che ora devo rivedere ma che mi manca da morire, mentre Chicco ha appena pronunciato la parola magica... SOSTENIAMOOOOO IL MILANOOOOO... ed il coro va avanti, siamo in pochi e serve la voce di tutti, ma io non sono un robot, non voglio esserlo, nemmeno un soldatino, mi prendo il mio spazio, la mia libertà, il mio tempo, i miei ricordi, li unisco e li miscelo, e senza che nessuno si accorga di niente canto il mio personalissimo inno di felicità per ciò che è stato e non va cancellato: sosteniamo la Popina, alè alè alè la Popina... e rido, riuscendo miracolosamente a trattenere ogni incipit di commozione, mentre gli altri continuano a cantare, c'è una partita da raddrizzare, una sfida da affrontare, tanta strada da percorrere.
L'hockey è soltanto una terapia, così come i trenta post in trenta giorni e tutto il resto. Ci sto provando, ma mi concedo volentieri ancora qualche momento "nostro", soprattutto se un ricordo o una sensazione mi colpiscono all'improvviso. E' comunque impossibile non pensarti.
Ultima.
Mi è sempre piaciuto misurare il tempo spargendo qua e là per la mia esistenza tanti piccoli segnalibri invisibili. Ho cominciato ad appassionarmi da bambino, quando imparavo a memoria gli albi d'oro di tutte le manifestazioni calcistiche più importanti: vincitori, finali, città ospitante, questi dati mi aiutavano a dare una sequenza logica ad ogni avvenimento. E così per le Olimpiadi, ho sempre adorato immergermi nel passato, diventando un nerd per imparare l'anno e la città di ogni edizione, per scoprire che un filo mi legava a quegli eroi lontani. Un filo rappresentato dalla tradizione e dal mito che discende dal poter scrivere il proprio nome nella storia. Di uno sport o di un gruppo di amici, poco importa, io ho sempre cercato di accumulare ricordi e date per dare un senso allo scorrere incessante del tempo. Ricordo il mio primo allenamento e la mia prima partita all'US Orione (segnai su punizione all'esordio in un torneo a S. Stefano Ticino!), e ricordo l'ultima (immeritata sconfitta ai rigori in finale a Gaggiano). Si dice che la prima volta non si scorda mai, ma allora perchè molto spesso è l'ultima a farci così male, a darci così tante bastonate? L'ultima volta che sono stato in PompeoNeri, considerandola CasaBagnino, ci fermammo a guardare la sala semivuota ed io finsi un clamoroso ritardo per non rimanere lì a piangere come un cretino insieme al Bagnino già lacrimoso. La prima alla White pieno di dubbi, l'ultima un Natale un po' sbattimentoso ma significativo (non ce ne saranno altri lì, per me). In mezzo una marea di cene, notti insonni, lampade e docce all'aperto, feste epocali e risvegli afghani, baci rubati nel buio, serate di nascosto in taverna. Ieri sono stato da Ringhio, e le case dei Grigioni sono tutte uguali ma chissà quanto tempo era passato dall'ultima volta; era stato un sabato a pranzo, lui appena sveglio all'una, io già bello carico in tuta, spariamoci due spaghetti che poi si va alla partita dei bambinetti; e mi fermo a pensare al tempo intercorso tra le due ultime volte, che strada abbiamo percorso vedendoci due volte all'anno, sentendoci di rado, ma conoscendoci alla perfezione? Gli amici servono a questo, la catalogazione del tempo anche. Da quanto tempo non mi trovavo in macchina con il Varano ad ascoltare musica elettronica... questo lo sappiamo bene... La prima volta al Parc Guell non si scorda mai, ma è l'ultima ad aver già assunto un valore leggendario; per le parole di Fabri, e per il dopocena sconvolgente rientrati a casa alla Barceloneta. La prima volta e l'ultima che ci si guarda da innamorati, dal retro del Dundas fino a chissà dove, l'ultima volta che abbiamo cantato insieme al palazzo anche nel tuo peggior momento, giuro io ti accompagnerò. Domani -se riesco a sconfiggere l'influenza- me ne vado a Brunico coi ragazzi della curva e la canterò di nuovo. Il mio primo giuramento, la mia ultima passione.
Bastavano Le Briciole
La musica serve a questo, non è vero? A spiegare quei sentimenti che altrimenti rimarrebbero inesplosi, a condividere stati d'animo che avremmo paura di esternare, a farci sentire meno soli. Dopo la mastodontica introspezione di Amore in polvere, correva l'anno 2011, (volevo fare parte di qualcosa nella vita, anche se questo qualcosa era una morte collettiva), Marracash riesce a regalarmi un'emozione straripante anche oggi, con un pezzo tanto vecchio eppure inaudito, che ho riscoperto grazie alle mie recenti frequentazioni di quartiere. I miei viaggi sulla 95 intanto, verso il lavoro e ritorno, sono sempre pregni di momenti epocali a contatto con me stesso. Allora capita qualcosa, un pomeriggio di Ottobre, le note e le parole risuonano in testa, non può non scapparmi una lacrima quando questo tamarro della Barona sentenzia
ed io e i miei non siamo mai stati uguali, chissà com'è che pensavo che
non aveste niente da insegnarmi, sono cresciuto senza mai accontentarmi,
chissà com'è che ora non trovo il modo per ringraziarvi
allora ripenso all'sms che ho mandato sabato mattina a mia'amma, l'ho scritto piangendo già sapendo che l'avrei commossa, ma è vero che quando ci ritroviamo in fondo al baratro vediamo tutto più nitidamente, "Momin! Mi dispiace essere sempre così musone! Vedo che tu e l'Ile siete preoccupate per me... perfino Timoteo! [...] Ma voglio impegnarmi, ho dedicato troppo tempo a tante persone che non lo meritavano e ho sottovalutato proprio te. Non succederà più!", la musica in sottofondo non mi dà scampo, mi trattengo più che posso ma qualche lacrima ha la meglio, ed è a questo punto che il viaggio diventa fantastico. Salgono a due fermate da casa tre ragazze con la sindrome di down, con relativi accompagnatori, ed allora vecchi e marocchini fanno a gara per alzarsi e cedere il posto a queste ragazze dal viso furbo ed il sorriso vispo, ed io piango e rido e piango e rido e mi sento orgogliosamente imperfetto; sono ancora capace di commuovermi ed avere speranza nell'umanità. Un pensiero va anche a Timoteo che ho sempre cercato di non imitare ma il cui carattere mi appartiene inesorabilmente. Una volta mi raccontò di essersi messo a piangere assistendo ad una scena al piccolo Cottolengo: alcuni pazienti, affetti da sindromi rare e feroci, si stavano divertendo con i loro parenti, cantando e scattandosi foto ricordo. Lui era in disparte col suo giornale e forse era più riparato, più nascosto di me in mezzo alla 95, mentre si gustava la scena con un magone insopprimibile. Ma tant'è. C'è tanto ancora, da tirare fuori, io adesso faccio ripartire Marra, poi potrò andare a dormire, un altro giorno è passato ed io sto soltanto cercando di fare meno danni possibili.
Mental Che?
Forse esco, forse no, mi scrive la Fayna, mi cerca Darren, mi attanaglia questo mal di gambe leggero ma fastidioso; potrei uscire, dovrei restare a casa, avrei dovuto fare un paio di telefonate, e non le ho fatte, avrei voluto ricevere un paio di telefonate, ma non le ho ricevute. Non so quanto ci metta una lettera ad arrivare, in certi casi ogni giorno è un secolo ed io sto trasecolando. Mi concentro sul domani incurante delle paure che invece verrano a prendermi; sono quasi in pista e come sempre, prima dell'inizio di ogni sfida cerco di vivere in anticipo tutto quello che potrà succedere. Fino all'ultimo secondo prima dell'inizio sono vittima di una sofferenza acuta, spasmodica, quasi lacerante. Poi si tratterà di buttare fuori il fiato e con lui se ne andranno le ansie, le preoccupazioni, i castelli costruiti in decenni di stallo. Vorrei non perdermi proprio ora, ma la sconfitta fa parte del gioco e può succedere. Un mental coach mi direbbe di eliminare dai miei pensieri l'alternativa indebolente del fallimento, e per una volta potrei anche crederci. Accade sempre tutto troppo in fretta, e non c'è mai tempo per voltarsi indietro, e non c'è mai tempo per riprendere i discorsi lasciati a metà, e non c'è modo di curare il proprio cuore se non cullandolo tra dolci ricordi e sfide senza futuro. Vorrei non essere costretto a scegliere entrambi questi rimedi, ma questo sto raccogliendo, in fin dei conti. Me stesso. Un'altra volta.